"Dove ci sono peccati, lì è divergenza. Ma dove regna la virtù lì è unicità, lì è unità." (Erich Fromm)
Erich Fromm (1900-1980) |
Il Seicento è stato scenario di uno dei più grandi dilemmi su impronta shakespeariana "to be or not to be" (essere o non essere). Secoli più tardi, a seguito di mutazioni socio-culturali, l'uomo si ritrova a doversi interfacciare ad un'altra realtà: "to have or to be" (avere o essere), paradigma delineato da un celebre psicanalista e sociologo Erich Fromm.
E. Fromm pone l'uomo contemporaneo difronte "a due fondamentali modalità d'esistenza, a due diverse maniere di atteggiarsi nei propri confronti e in quelli del mondo, a due diversi tipi di struttura caratteriale, la rispettiva preminenza dei quali determina la totalità dei pensieri, sentimenti e azioni di una persona". Risulta un ossimoro ricercare la categoria dell'unicità in un'opera caratterizzata fortemente caratterizzata dalla dicotomia avere-essere. Forse questo dualismo stesso è l'unicità stessa? Avere saputo dare nome, forma, profilo storico, polito, culturale e pressoché scientifico a questo grande dilemma? La società a noi odierna è ossessionata dal possesso, come scrive Erich Fromm "i consumatori moderni possono etichettare sé stessi con questa formula: io sono = ciò che ho e ciò che consumo". Profondo distacco dal celebre aforisma cartesiano "Ego cogito, ergo sum, sive existo" (io penso, dunque sono, ovvero esisto). L'uomo alienato del XX secolo, descritto da E. Fromm, è legato in maniera imprescindibile alla categoria dell'Avere, trascurando in parte la categoria più profonda e insita dell'uomo, l'Essere in via di principio indescrivibile.
"Il mio io totale, la mia intera individualità, la mia entità, la quale è unica come lo sono le mie impronte digitali, non può mai essere pienamente compresa, neppure per via empatica, perché non esistono due esseri umani identici."
E. Fromm, oltre che aver delineato con estrema precisione e pragmatismo queste due categorie, si innalza con estrema unicità rispetto ai modelli a cui egli si ispira (A. Tennyson, M. Basho, J. W. Goethe) attraverso un "semplice confronto letterario" sull'essenza del dilemma "Avere o Essere", un aut-aut che va oltre la mera dimensione del possesso, fino ad arrivare a comprendere l'atteggiamento con cui l'uomo affronta la propria vita, affronta sé stesso.
"La modalità dell'esistenza secondo l'Avere non è stabilita da un processo vitale, produttivo tra soggetto e oggetto, essa rende cose sia il soggetto che l'oggetto. Il rapporto è di morte, non di vita".
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